Come nei miei sogni,
la realtà se ne è andata!
Sono nato nella solitudine,
e la solitudine
è rimasta dentro di me!
Piano bar in un caffè di stazione,
blues e flamenco,
e in chiusura versi di Lorca:
occhi grandi colorati
ad intuire sensi e sensazioni!
Morire a 25 anni:
la natura esige quanto ti dà,
e la tua vagabonda solitudine e
il tuo mondo sono fermi
nelle tue pupille di fanciullo irredento!
Era il tempo dei Martini,
il tavolo dei bar era poi accademia,
e poi politica,
donne, donne, e ancora donne,
altro che politica!
E’ memoria il tuo corpo nudo
tra verde di foglia e azzurro di cielo,
e cammini nuda
come un re ebreo,
entri tra steli di vita ancora acerbi e
rossi di fuoco,
abili e inconsci come sogni
di notizie:
messaggio segreto
in continua eccitazione.
Un suono trafigge le orecchie,
e Ringo e George
accarezzano frementi i loro avidi strumenti,
e Paul e John,
anime nere di lacrimose canzoni
e di ripetuti ritmi
di pensieri-serpenti,
rompono il sonno
di nuvole insistenti
che corrono e ……corrono!
E preferirei essere arrestato
per i miei sogni di
sesso politica sogno
più che lodato per le estemporanee qualità
di “soggetto essere”!
Perché non sono dio?
Sono forse incapace di vivere
solo perché non amo la massa,
o solo perché il mistero è
la mia
essenza di vita?
E mistero è
l’elemento vitale dell’esile
magrittiana farfalla,
e Li Po,
grande amatore,
e poi anche poeta,
e non perché
in questo sia meno di quello.
E mistero è
l’illusione del ’68,
e i diritti corrotti e calpestati,
e i momenti d’essere,
e gli articoli non scritti,
e le presenze magrittiane,
e il quotidiano.
Silenzioso, penso agli amici d’un tempo,
e mentre corrono
nuvole inerti
ho ancora vino nella ciotola,
e il grido di un’anatra selvatica
invade il sonno rotto
dai ricordi
di infanzie felici a rincorrere
donne, farfalle, rose,
in campi di immani sentimenti.
E decido ancora,
depongo il pennello
e aspetto quieto
che dal buio
si formino immagini lontane
e a me vicine
quel tanto che basta
per essere sulla tela:
le mie eterne donne,
i miei sistemi di crescita,
i sentimenti e le rose,
e forse anche le farfalle;
intanto, acre,
una nota stonata di sassofono
si ripete di lontano.
Dov’erano più i ricordi dell’università,
pizze fumanti
e libri sotto il braccio,
aria di intellettuale, già Ginsberg,
e Kerouac o Arrabal o Pasolini.
E forse De Andrè è ancora vivo:
Re Carlo e Bocca di rosa
viaggiano insieme
su note speciali
di amore sacro e profano.
E finì sposato
a chi in cambio gli desse
impossibili complicità
negli atti impuri di furiose carezze o
di innominabili modi di godere;
finito poi a masturbare
quei poveri sentimenti,
scatarrando lo sperma
avido di nuove e pie
eterne donne.
Ed ho paura
delle notti vuote
e degli occhi che ancora vagano
a cercarti,
lì dove esiste il passato,
e i vecchi amori,
sentimento, più che reali,
e infedeltà;
e i rinfoltiti pudori
sono altro che enigmi!
E più volte ho tentato,
ma, implacabile,
la mia anima non ha osato morire,
e devo ancora aspettare
prima che lasci il mio corpo.
Avrei voluto imbottirmi
il corpo di metedrina, ma un po’ di fumo
ha esaurito la mia esperienza
in un quadro e dei versi che ancora sono
il segno del mio tempo.
E’ mistero
quel giovane sul treno:
mi chiedeva soldi
per un biglietto non suo,
scusandosi mille volte;
e mistero è
il libro dei ricordi,
quando bimbo alla scoperta,
entusiasta,
del sesso da sempre,
ero compresso dalla voglia
di guardarlo,
studiarlo,
toccarlo,
incurante dei sensi di colpa.
Poso ancora il pennello,
più non occorre
toccare il colore,
sono ebbro
e giaccio nel mio letto:
che cerco ancora?
Non è forse vero
che sono vivo da sempre
e il paradiso è qui?
Perché non sono dio?
Ci sono oche lassù,
e carezzano morbide
i chiarori lunari;
leggendo m’addormento
e il colore invade la tela.
E’ vero,
le ragazze dovrebbero farlo
di più,
è bello essere amato da delicate mani di donne.
Ed era quello
il segnale che aveva chiuso:
nato già marxista
e sessantottino,
ma già allora goliarda e gaudente,
e c’era fascista e fascista,
borghese e borghese,
socialismo e socialismo,
e forse anche
potere e potere.
E mi sarebbe
piaciuto essere De Andrè,
e le sue melodie
di tristi e reali immagini
di poesia visiva,
e mi sarebbe piaciuto,
ma, quasi,
non riesco più a volare!
E depongo la penna,
che le parole non invadono
più sapientemente
il foglio!
Come è difficile
essere gabbiani e, ancora,
donna, rosa, farfalla!
Sosto sulle rive del lago,
le canne ostentano carezze,
le oche volano basse,
non ho più voglia di scrivere!
……………………………..
Prima di lasciare
lo spazio
mi giravo un’ultima volta.
Pensavo al mio quadro
plasmato,
come con un pollice,
a sollecitare
strane simbologie sessuali,
blasfeme come donne
dai mille volti.
Vado rispolverando
antichi appunti, fissati
per chissà quale occasione,
come figure ormai perse nel tempo.
Le albe, i tramonti,
mi colgono
in posizioni delittuose,
immagazzinate ormai nella memoria.
Un flauto
di raffinata sensibilità e di
inusitata malinconia
suona da solo,
al buio.
Ero felice di esplorare
la sua
sensibilità dichiarata e
segreta.
Ero spinto a cavalcare
le sue ragioni,
che mai nessuno
ha scritto
e concepito.
Ero felice
di introdurmi in corpi
di donne belle e brutte,
in montagne innevate
più volte profanate:
e mi divertirei
ad ingravidarle tutte
con una immensa,
bianca
distesa di petali spermatici.
“laggiù ci hanno ammazzato un poeta”!
Era presto, di
mattina, ed era vero!
era buio, ed era vero!
e lasciò il segno!
Oggi ho deciso,
sono fermo:
quelle oche lassù non
alieneranno il mio pudore,
il vento
non carezzerà il mio sesso
come morbida e arrendevole canna,
la luna
veglia già, lì fuori.
I tuoi mille, cento, dieci silenzi,
non bastano ad immaginar parole!
Non dormo,
invento sinfonie alla
luce della luna;
batte la pioggia
sopra i picchi dei monti;
solo e tranquillo
mi siedo a bere,
un corvo mi riserva
il suo acre conversare!
Preferivo poi
essere
a caccia di api selvatiche,
a rincorrere
fiori devastati da farfalle,
a riordinare
formiche desiderosi di magazzini,
anche perché,
dopo,
non c’era nessuno
ad attendermi!
E indelicatamente
mi strusciavo ai tronchi degli alberi,
carezzato
dai canti degli uccelli e
dal tenue colorir dei fiori,
riversandomi poi
in impudiche erbe di prato,
insistentemente dorate
dai soli di maggio!
E forse
il desiderio era forte:
lasciarsi vivere e morire lì,
lontano
dalle case basse,
lontano dai lamenti dei morti,
lontano
da quel fine vestito
sotto il quale indugiava
corpo mai immaginato!
Depongo il pennello,
e mi siedo accanto;
che voglio ancora
se i miei pensieri ignorano
cielo e terra?
Le oche volano alte
tra mille nuvole bianche;
appoggiato a una canna
seguo con lo sguardo
un grido d’uccello!
Sedetevi
ai bordi dei ruscelli,
e volto lo sguardo
al chiaror della luna,
lasciatevi sedurre
dal cielo
e dalle stelle dei picchi dei monti:
nel buio,
in silenzio,
un flauto cantilena il suo verso
……………………………
Ero seduto
nell’attimo della mia stanza
a provare note
che non uscivano,
a immaginar
pensieri di fiori selvatici
che scivolavano
su prati di dolore,
e che rinascono da sé,
anche senza primavera:
e anche quella sera
gli uccelli cantavano
quelle melodie
che annunciano
che il giorno finisce!
Steso su cuscini d’erba,
a lungo immobile,
seguivo interminabili teorie
di ombre di nuvole
d’uccelli,
e grosse gocce di rugiada
fendevano la notte
disseminata
di ombre allungate.
Cani guaivano lontano,
e brusii
di animali sconosciuti
esaltavano
la pace dei sensi.
Ad un tratto
il senso del vero
assale
i porti brumosi
di terre nascoste;
ed ero contento,
alla ricerca
dei sentieri repressi,
degli elementi essenziali di vita
che spesso e
delicatamente evocano
aspetti
misteriosi e sconosciuti
della realtà:
ero forse incapace di vivere!
…………………………
Non dormo,
ascolto tranquillo
una fila di corvi raccontarsi
di avventure d’amore
tra foglie d’autunno;
ascolto pure
i colori al tramonto che
fitti come nebbia,
si posano incredibili
su note d’amianto.
Il cielo è blue,
ormai,
un vento tiepido
esalta le foglie, i rami,
le canne.
S’alza pure la luna
come a chiedere dei tempi passati,
dei ricordi,
e forse di domani!
Note amiche
corrono insistenti
tra mura di case silenziose
e crepitio
di legna da ardere:
avevamo ancora da bere,
allora,
e ascoltavamo musica,
e c’era dialogo
tra i mille vicoli
di “Pink Floid” abbandonata,
e il buio
ci era amico e fantasma,
e “l’altra faccia della luna”
accompagnava
i nostri silenzi espressivi,
le nostre esperienze di viaggi,
le nostre emozioni!
Ora non più,
solo e tranquillo
mi scopro a ricordare i ricordi,
a dimensionare la mia esistenza:
non ci sono più
gli amici di un tempo,
alcuni poi sono altrove,
insensibili ai rumori
e ad ogni dimensione vivente;
ho scavato
buche nella terra,
e piantato alberi:
solo così
parendomi di averla violata tutta,
esile e delicata,
con insistente pienezza
e indelicato candore;
ho espresso
desideri più forti
per il mio sesso ancora
ebbro di carezze e
di notti
d’amore di gioia e
poi forse
di solo torpore.
Ora, non vedo più
uccelli sui rami
né uomini intorno:
forse vagano,
amanti irrequieti
persi
tra nuvole bianche e azzurre,
in indicibili inseguimenti
dell’irredenta
balena bianca;
esile baia
spesso calpestata
da orme leggere:
forse che il vecchio Dersù
era anche lì
ad affermare
la sua presenza di vita!
Di lontano,
un’anatra dispersa
rompe il silenzio.
Centomila indiani estinti
si lasciano vivere
ormai
in campagne lontane
e carezzarsi
dall’erba verdissima,
sotto raggi d’oro;
e le immense praterie
non sono più tali;
altri cavalli
distruggono
l’erba di una natura
fin troppo arrendevole;
e vorrei essere lì
anch’io,
nella verità dei ricordi
di questa mia unica vita,
nel mistero
di terre nascoste,
di più umani sentimenti,
di imprevisti
sentieri d’amore.
E vorrei essere lì,
………anch’io!
(1983)